Arte esercitata dagli atleti professionisti ellenici che, sotto l’impulso edonistico, erano disposti a sacrificare la propria vita per vincere gare e competizioni. Nell’intento di limitarne gli effetti più negativi alcuni filosofi espongono verso questa « arte » i loro vituperi e disprezzi come si legge in Senofane (570-475 a.C.), e critiche si apprendono negli scritti di Erasistrato di Chio (330 a.C. – 250 a.C.) e di Erofilo (335-280 a.C.) fondatori della grande scuola medica di Alessandria d’Egitto, oltre che Filostrato di Lemno (II sec. d.c.), conoscitore del mondo agonale, il quale nella sua opera Perì Gymnastiké difende la vera ginnastica e accusa di immoralità gli allenatori e gli atleti. Anche Galeno era critico, critica particolarmente indirizzata alla diatesi atletica e rivolta alla persona stessa degli atleti per denunciarne la nullità intellettuale: “Ammassando essi una grande quantità di carne e di sangue. La loro anima si annega quasi in un vasto letamaio; non può avere nessun pensiero chiaro, è ottusa come quella dei bruti” (Exhortation, I, 36). Enrico Morselli (1852-1929) a proposito dell’atletismo si esprime dicendo, “Un corpo forte e robusto senza interiorità spirituale di coltura e di idealità, potrà condurre all’atletismo, ma non alla vitalità sanamente utilizzabile”. Anche Jean Le Boulch, già negli anni ‘60 del secolo scorso, evidenziava quanto le prove atletiche fossero insufficienti per apprezzare le abilità motorie di una persona i cui aspetti fisiologici non sono scindibili dai fattori psichici. In questo periodo, Jean Le Boulch, chiamato a partecipare alla commissione preposta dal ministero per la revisione dell’educazione fisica in Francia precisa la necessità di tenere conto dei caratteri anatomici, fisiologici, funzionali, neuromuscolari e psicosociali nelle differenti tappe dello sviluppo; un’educazione fisica fondata sulla cooperazione piuttosto che sulla competizione e l’esacerbazione del confronto e contro il mercantilismo dello sport, a cui darà il nome di “psicocinetica”. Le Boulch a proposito dichiara “è necessario evitare di introdurre nell’Università le pratiche dell’educazione fisica tradizionale, più o meno convertite per soddisfare le esigenze dello sport competitivo che mi sembra senza significato e privo di interesse. Al contrario, permettere l’evoluzione di una disciplina educativa fondamentale fin qui sottostimata, a volte devalorizzata, mi sembrerebbe invece un cammino esaltante”. Perciò, l’educatore deve rivedere il suo contributo sul piano dell’apporto educativo offerto attraverso la sua disciplina che supera il semplice quadro della salute e della valorizzazione delle attitudini cosiddette fisiche. Si deve dunque tentare di precisare il proprio orientamento e i propri obiettivi e prevedere un piano di formazione che si basi sui dati scientifici più attuali sia nel campo delle scienze biologiche che in quello delle scienze umane.
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