Percentuali ormai grottesche di allievi che vengono identificati come “sospetti” nella scuola dell’infanzia e con disturbo conclamato a partire dalla fine del secondo anno della scuola primaria, sono una calamità umanitaria che reclama di porre fine alla situazione di disagio che i nostri figli sono costretti a vivere, sia in attesa del verdetto che dopo essere stati classificati DIS. Colpevoli di un mancato immediato successo scolastico, convalidato dal verdetto di una diagnosi garantisce ai bambini sofferenze e traumi che si trapiantano nel processo maturativo con l’effetto di ritardare lo sviluppo delle funzioni autonome dell’Io e di strutturare una personalità fragile e non autentica. Questa responsabilità, come sostiene il Vygotskij, è da attribuire al criterio patologico terapeutico e alla pedagogia terapeutica, alle raccolte di dati per la scelta di un certo quadro sindromico e ad aiuti con esercizi ripetuti che portano solo all’ammaestramento e all’annullamento dell’identità dell’allievo. L’alternativa al criterio patologico terapeutico è una scuola in cui si torni a riconoscere al pedagogista nel ruolo di insegnante l’abilità e la professionalità necessaria per conoscere l’allievo, riconoscere le difficoltà e gli ostacoli che esso incontra negli apprendimenti, e rintracciare gli itinerari educativi per integrare le abilità, gli interessi e le motivazioni; promuoverne quindi l’autentico sviluppo anziché un invilente destino etichettante. In particolare l’insegnante può conoscere l’allievo per mezzo dell’Analisi Psicomotoria Funzionale (APF), annotare con essa la presenza di fattori relazionali frenanti lo sviluppo, le cause degli eventuali arresti o fragilità nel consolidamento delle acquisizioni, ogni aspetto che caratterizza gli stati di necessità, la funzione energetica efficace, l’interesse, l’attenzione e il desiderio, scoprire i punti di forza e i punti deboli, tradotti dalla fitta rete delle funzioni. Una cascata di conoscenze e di emergenze da cui individuare l’intervento, il percorso personale da seguire per offrire all’allievo un valido aiuto, non nell’immobilità del sostare seduto al banchino, ma sostenuto e animato da esperienze psicomotorio funzionali.
La Psicomotricità Funzionale che è educazione del movimento e non terapia orientata al malato, ha il privilegio di facilitare i risvegli, la partecipazione attiva in interazioni costanti fra funzione espressiva ed operativa, rendere la persona attiva e propositiva sostenuta dalla funzione energetico affettiva. Con la Psicomotricità Funzionale è possibile accompagnare la persona verso la conquista dell’unità e della coerenza della propria vita psichica e sociale, fare appello alle risorse personali, sostenere le iniziative, le scelte e le soluzioni, favorire gli apprendimenti curriculari.
Guido Pesci