Psicomotricità Funzionale in acqua

PF pArgomentare sulla Psicomotricità Funzionale® in acqua significa richiamare ed esporre gli insegnamenti che Jean Le Boulch, nel dare validità alla sua scienza, ha analizzato considerando l’acqua elemento prezioso per una espansione organizzativo corporea e socio-affettiva.

Nell’esporre le esperienze in acqua, Jean Le Boulch era solito richiamare l’attenzione a non dimenticare che l’habitat dell’homo sapiens è ricoperto per due terzi di acqua e che l’uomo, oltre alla locomozione su terra può muoversi nell’acqua e dialogare con essa come già dimostravano i popoli primitivi di cui ci narrano i primi esploratori degli oceani. La Peyrouse, esploratore del Pacifico scrive che “uomini e donne nell’acqua parvero come tritoni e nereidi”, e Cook d’Entrecastreaux riferisce di aver assistito a Taiti ad una folla di uomini, donne e bambini che “effettuavano meravigliosi esercizi di agilità in seno alle onde per raccogliere nei fondali le palline di vetro che venivano gettate dagli uomini del suo equipaggio”. Pure Kolbe nelle descrizioni del suo viaggio in Africa racconta come gli Ottentotti si muovessero fra onde dei mari in piedi con le mani fuori dell’acqua e apparissero e sparissero come pezzi di sughero; anche i rivieranei del Rio delle Amazzoni erano abili in acqua e si narra come le madri, stringendo al seno i loro bambini per sfuggire agli spagnoli, si lanciavano temerariamente nel fiume da alti picchi mettendosi in salvo, inoltre è noto come a seguito di un graduato esercizio per trattenere il respiro, i pescatori di ostriche perlifere e di spugne che si incontrano ancora oggi a Oeylan, all’ isola di Ormus e lungo la costa di Siria e di Cipro, rimangono assai lungamente sott’acqua.

Tutti i popoli che abitavano in prossimità dei fiumi, dei mari e degli oceani, hanno dimostrato nella storia come vivessero con piacere e agio le acque e coltivassero l’arte del nuoto. La stessa Sparta, chiusa tra montagne promulgò nel suo Codice di Leggi, l’obbligo ai cittadini e alle giovanette di buttarsi nudi al mattino nelle gelide acque dell’Eurota; in Macedonia nell’isola di Delfo vi erano solenni feste consistenti in esercizi di nuoto eseguiti da giovani ragazzi e ragazze. E, secondo Fournefort, i giovani dell’isola di Samo non potevano maritarsi se non scendevano alla profondità di otto braccia sott’acqua. Anche la Mitologia greca è ricca di Deità e d’immagini rappresentanti il fervore che i Greci ebbero per il mare e per il nuoto, un mare animato di Naiadi, di Ninfe, di Nereidi, di Sirene e di Tritoni, simboleggianti le acque e i flussi, che, se Nettuno re dei mari, è il Nume temuto e riverito, Venere, che sorge dalla spuma dei flutti è l’incarnazione più delicata e ideale di un sentimento plastico.

Nei costumi propri ai Greci, dice Taine “il personaggio ideale ai loro occhi non fu lo spirito pensante o l’anima delicatamente sensibile, ma il corpo nudo, di buona razza, di bel germoglio, ben proporzionato, attivo, perfetto in tutti gli esercizi” (H. Taine, Philosophie de l’Art, Paris, 1885, v.1 p. 99), e le esperienze in acqua erano considerate assai adatte a sviluppare e fortificare il corpo ed abbellirne le forme. E mentre i Carieni, i Lidi, in genere tutti i loro vicini barbari, avevano vergogna di comparire nudi, questi si spogliavano senza difficoltà dei loro abiti per lottare, correre e nuotare.

Nell’antica Roma, ovunque ed in ogni stagione, i bagni e le terme offrivano ampie opportunità di esercizi corporei in acqua, il bagno, dice Antonio Bianchini, “…avea cinque parti, un lavatoio freddo (frigida lavatio) con vasche divise da una piscina da nuoto detta da Plinio baptisterium, il tepidario, assegnato a servare le vesti, a tergere dalle membra il sudore e l’acqua, a moderare il calore della persona, il calidario detto assa o lacomicum, cella scaldata da fuoco sotterraneo, il lavatoio caldo (calida lavatio), aveva con acqua calda e vasche e piscine” (A. Bianchini, Scritti postumi, tip.Galeati e F., Imola 1884). Il nuoto era considerato così importante che per canzonare un uomo buono a nulla si diceva: Neque litteras didicit nec natari! (Non imparò a leggere né a nuotare).

Mentre col Cristianesimo, decadendo ogni specie di esercizio corporeo, decadde anche quello del nuoto e dei giochi in acqua, i popoli del Nord continuarono a fare del nuoto una parte integrale della loro educazione fisica, degli scandinavi ce ne dà prova il legislatore nel Whahala (Paradiso), dei germani sappiamo che si tuffavano nudi nelle acque del Reno e del Danubio e dei franchi, come si legge in Apollinare, conosciamo la loro compiacenza nel lottare contro correnti rapide.

Alla fine dell’800 tutti gli igienisti si sono mostrati favorevoli all’esercizio del nuoto e dell’acquaticità: scuole di nuoto gratuite o a prezzi ridotti si trovano a Londra, Vienna, Bruxelles, Berlino, Basilea, Lipsia, Annover, Amburgo, Karlsruhe e Brema e, il 1884 data la storia dell’igiene a Parigi dove si aprono, con una ingente spesa, un gran numero di tiepide piscine, inaugurate poi anche su tutto il territorio nazionale. Si trattava di stabilimenti balneari, alimentati di acqua corrente, riscaldata, filtrata, e convenientemente innovata, dove potere, senza preoccuparsi della temperatura, tuffarsi, camminare e dirigersi a proprio talento: rendere il bagno gradevole, farlo desiderare, ed abituarvi tutti e dove, due giorni per settimana, si autorizzavano le Società di Risparmio delle Scuole ad inviarvi gli scolari dei due sessi (P. Christmann, La Natation et les Bains, Revoir Illustré , Paris 1871).

In Italia, nonostante l’eredità dei Romani, dei lontani Greci e delle città marinare come Genova, Pisa, Amalfi e Venezia, la sua conformazione geografica e la pubblicazione di importanti libri, come L’uomo galleggiante o sia l’arte del nuoto di Oronzio de Bernardi, comparso nel secolo XVII, tradotto in tedesco da Friedrih Kreis di Weimar (1797) e in Castigliano (Madrid 1807), e, Sui bagni degli antichi e sulla necessità di assumerne la pratica scritto nel 1811 da Francesco Bruni di Firenze, l’esercizio del nuoto e delle esperienze in acqua non diviene affatto popolare.

Questi sono alcuni degli esempi a cui si riferiva Jean Le Boulch, poiché li ha ritenuti importanti riferimenti che sostanziavano le esperienze da esso proposte, da cui trarne vantaggi per offrire, oltre allo sviluppo e al rinforzo del corpo e abbellirne le forme, una migliore acquaticità capace di abilitare schemi e immagini di sé.

Guido Pesci